Il sogno resta quello di uscire dal lavoro ed entrare in un bar, e nel bar trovarci gente che conosci abbastanza da scambiare due parole.

Non è sogno irrealizzabile in termini assoluti, perché alle volte succede.

Quello che vorresti è che accadesse sempre, soprattutto quando lo desideri tantissimo, soprattutto quando non hai pianificato niente per la serata. Vorresti che accadesse senza passare attraverso le complicanze di organizzare un bicchiere infrasettimanale tra persone con una carriera avviata. Fare la vita dei disoccupati, insomma, appena dopo aver finito di lavorare.

E saresti disposto anche a stare a sentire discorsi del cazzo – i discorsi da bar, appunto – e poi vorresti che a fare discorsi del cazzo fossero personaggi eccentrici, felliniani. Mentre lo desideri ti rendi conto che questo desiderio è una compensazione della vita lavorativa, trascorsa tra gente che ha passato la vita a migliorarsi (tipo te stesso) e gente che invece ti irrita perché non rispetta le aspettative minime per scaldare la sedia.

Ma fuori dal posto di lavoro le regole salterebbero: niente obiettivi da raggiungere, quindi va benissimo lo scemo di paese che racconta scemenze al bancone. E’ scenografico. E’ rilassante. Lui non ha niente da perdere; tu non hai niente da guadagnare.

Fare la vita dei disoccupati, ad ascoltare discorsi del cazzo, a pensare quanto è invecchiato chi ti versa la birra, a fare ragionamenti piccoli, a chiedersi se il pane di ieri è buono pure oggi.

vi danno fastidio

Vi danno fastidio gli intellettuali, vi danno fastidio i moralisti (e quindi la morale), vi danno fastidio i buonisti (e quindi la bonta’), vi danno fastidio gli scrittori, vi da fastidio l’immunologia, la chemoterapia, i piani a lungo termine, i trattati internazionali.

Ma non per diversa ideologia: vi danno fastidio perche’ non li capite. Per essere compresa pienamente, ognuna di queste cose richiede studio, oppurre richiede la capacita’ di analizzare il complesso, richiede familiarita’ con le astrazioni. Il limite non e’ necessariamente intellettuale: a volte e’ semplicemente prigrizia.

Allora capite solo la tassa sulle buste di plastica, i negri sulle barche, la restituzione di qualche euro di stipendio.

Tutti argomenti che possono essere giudicati sommariamente, anche in caso di moderata lobotomia: Si oppure No, Maggiore o Minore. Un rassicurante sistema binario dove gia’ i concetti di insieme o sottoinsieme generano frustrazioni. Ed in questo clima da seconda elementare, affonda tutto.

Si può anche assecondare il timore istintivo nei confronti delle razze diverse – ma pure lo schifo, perché gli istinti sono istinti – e a volte la gente ha istinti terribili. Uno può anche dire che nei quartieri pieni di immigrati si sta male. Che ci sono più reati. Che tanto i numeri dicono quello. Uno può avere paura delle altre religioni e dirlo apertamente.

Ma spingiamoci oltre e diciamo che uno può perfino credere – in modo totalmente antistorico e anacronistico – che le migrazioni debbano essere totalmente bloccate, e non accogliere mai nessuno. Perché historia magistra vitae per chi ha studiato, per gli altri invece stocazzo.

Ma quando uno sfrutta degli esseri umani in mare per ottenere dei vantaggi, allora si traccia una linea per terra e si deve decidere: o da una parte, o dall’altra.

Usare delle persone per il proprio vantaggio e’ come il rapinatore che punta la pistola all’ostaggio. Come il terrorista che danneggia innocenti nel nome di un’idea. Quando uno arriva addirittura vantarsene, di questo gesto disumano – come fosse un merito – per riscuotere applausi, allora questa persona e’ una diarrea. Quando uno specula sulla pelle di altre persone per ottenere consenso, sfruttando i limiti intellettuali o culturali o emotivi di chi non riesce ad elaborare giudizi più sofisticati della semplice dicotomia ‘immigrato si-immigrato no’, questa persona e’ una diarrea.

Non sono i politici sempre uguali. Sono gli italiani, sempre uguali.
Non sono i politici il problema. Sono gli italiani, il problema.

Hanno un politico ottuagenario, puttaniere e pregiudicato. Aveva portato l’Italia sull’orlo della bancarotta solo qualche anno fa, lo spread era altissimo, aveva ridicolizzato l’immagine degli italiani all’estero. E’ stato via poco tempo, poi è tornato: cresce nei sondaggi e ora lo danno al 16%.

Hanno un razzista separatista che diceva: ai giovani del mezzogiorno non va di fare un cazzo. Dice di volere difendere l’Europa cristiana ma predica valori contrari al vangelo. Si candida al Sud e lo applaudono. Gli operai lo votano, senza capire cosa vuol dire “flat-tax”. I sondaggi lo danno in crescita, ora al 13%.

Hanno i partiti del governo uscente. In 5 anni l’economia e’ cresciuta, la disoccupazione e’ calata, hanno approvato leggi sui diritti civili nonostante le ingerenze vaticane, difeso l’obbligo vaccinale. Pero’ siccome il leader del partito principale e’ antipatico e sbruffone, il gradimento cala nei sondaggi. Perché gli italiani votano per simpatia o per rabbia, raramente per ragionamenti razionali. Infatti quando hanno sostituito il capo del governo, mettendo al posto del leader del partito principale un altro ma meno sbruffone e con la faccia più simpatica (dello stesso partito, con lo stesso governo, con lo stesso programma) quest’ultimo e’ cresciuto tantissimo nei sondaggi, solo perché simpatico e garbato.

Hanno un ex presidente del Senato, siciliano, ex magistrato antimafia, che alla fine del suo mandato non voleva andare in pensione. Si e’ inventato che voleva mettersi a disposizione del Paese. Ma proprio mentre lo diceva, aveva la possibilità di candidarsi a presidente della sua Sicilia. Era perfetto: siciliano, antimafia, con esperienza, voleva mettersi al servizio del Paese. Pero’ correva il rischio di essere eletto e poi di lavorare per davvero. Ha preferito mettersi a capo di un partito senza speranza, che ha l’unico obiettivo di far perdere qualche seggio ai partiti di governo. Avrà una poltrona senza doversi prendere grosse responsabilità.

C’e’ il partito fondato da un comico. E’ riuscito a convincere gli italiani che se le cose vanno male non e’ colpa degli individui, ma “dei politici”. Il messaggio e’ efficacissimo perché de-responsabilizza e fa sentire migliori. Ha fatto credere agli italiani che loro – come popolo – sono migliori dei politici che li rappresentano e che loro stessi hanno votato. Poco importa se gli italiani sono gli impiegati degli uffici inefficienti, sono i furbetti del cartellino, sono i parcheggiatori in seconda fila, sono gli evasori fiscali, sono i cercatori di favori, sono la mafia, sono i posti di lavoro “grazie alle conoscenze”, sono i medici che visitano fuori dall’ospedale, sono i costruttori di case abusive, sono i baroni universitari, sono gli studenti che si fanno scrivere la tesi, sono i figli di papa’, sono il caffè senza scontrino, sono quelli che vendono il voto per dieci euro, sono gli ignoranti fieri di esserlo, sono i caporali nei campi, sono i costruttori di ponti che crollano, di scuole che crollano, sono il vigile urbano che fa finta di non vedere. Siamo un popolo che sprofonda perché non cerca di migliorarsi. Perché migliorarsi costa fatica.

Arriva il comico e dice: la colpa e’ dei politici, voi siete delle povere vittime immacolate. E loro ci credono. Parla di meritocrazia, e poi scelgono un capo che non e’ riuscito a prendersi una laurea in tre facoltà diverse, non sa parlare in italiano corretto e che prima della politica viveva con la paghetta del papa’. Raccontano tutto e il contrario di tutto. Ovviamente questo diventa il primo partito: non perché offre le ricette migliori, ma perché fa sentire gli italiani migliori.

ad un certo punto il trentenne muore

Ad un certo punto il trentenne muore di borghesia.

Muore ci cerimonie. Di cene passate a farsi i complimenti a vicenda con gli amici (che non sono davvero amici, anzi non lo sono quasi mai). Di foto delle vacanze. Di consigli sulle vacanze. Di consigli sulle tende da cambiare. Da accorciare. Di facciamo questo e quello già sapendo che non si farà nulla, e mentre lo dici e mentre lo ascolti sei concentratissimo a non far trasparire dall’espressione facciale che tanto lo sai – non se ne farà nulla – non mi interessa niente, e lo so che pure a te non interessa, lo diciamo tanto per dire e per traghettare questa conversazione altrove, perché se non parliamo di questo parleremmo del tempo che si e’ guastato, che e’ come non parlare di niente. Che e’ come ammettere di non aver niente di cui parlare. Voglio dire: lauree master e vite internazionali e parliamo del tempo? Piuttosto mi lancio dal balcone, piuttosto.

Muore di pulizia e ordine.

Muore anche perche’ si trova in un limbo tremendo: non sopporta la pulizia e l’ordine (riflesso diretto della pulizia e ordine mentale, quindi della morte) ma non sopporta neppure il casino, la cenere sul pavimento, i residui di patatine sul divano, i capelli lavati raramente, i semiadulti sdraiati nelle vite senza aspirazione e calzini spaiati come fossero matricole universitarie andati fuorisede per scappare a genitori oppressivi. Ne’ da una parte, ne’ dall’altra: nel limbo.

Intravedi da lontano (ma mica tanto lontano) il meccanismo perverso che porta certuni a farsi la decappottabile gialla per compensare nel mezzo del cammino della loro vita. Ci vedi un’attrattività nel ridicolo di questa soluzione, non fosse che e’ diventata stereotipo come il parlare del tempo.

Muore anche perché la bellezza del fare e condividere esperienze viene considerata improvvisamente una perdita di tempo – gli amici ci sono, ma sono presenze alla Patrick Swayze in Ghost. Non si può perdere tempo in cose inutili, tipo mandarsi affanculo in totale sincerità mentre si monta, chesso’, un tavolo, o si guarda una partita o si va a comprare un cacciavite, perché ci sono le vacanze da pianificare, vite sociali artificiali da innaffiare, le tende da accorciare, guerre civili domestiche da calmierare, inviti a cena da ricambiare.

Milioni di anni di evoluzione per giungere al vuoto pneumatico.

nelle società evolute

Nelle società evolute si consuma tanta fiction succhiando da Netflix, ed in passato (o anche adesso, ma molto meno) si cercavano storie sulla carta dei romanzi. Ma di cosa parlano queste storie che troviamo nel cinema e sui libri? Parlano della vita delle persone. Però la vita delle persone e’ tutto ciò che rimane quando non si dorme e non si lavora. E quanto rimane di tempo quando non si dorme, non si lavora, non si corre dietro agli obblighi pratici?

Rimane pochissimo tempo. Ne rimane sempre meno. Quindi rimane pochissimo tempo per la vita.

Se il tempo per la vita si restringe, aumenta di conseguenza il bisogno di vivere la vita attraverso le storie degli altri. E pazienza se sono finte, se sono attori e personaggi inventati dei libri. Queste storie sono il metadone della vita. Il sostituto triste e scintillante della vita che non viviamo.

di attentatori

Anche l’attentatore di Manchester non sembrava affatto una persona felice di stare su questo pianeta. Avete visto la faccia?

Il problema non sono i terroristi che arrivano sotto forma di migranti in Europa (cioè non e’ la loro presenza a creare automaticamente e direttamente il problema); il problema sono le migrazioni che creano troppe famiglie di immigrati che sopravvivono disagiate ai bordi delle metropoli, dove crescono ragazzini rancorosi nei confronti del mondo che li circonda.

Perché il mondo che li circonda non li ha mai adottati veramente – con quelle facce da extracomunitari che c’hanno. Con quei nomi da extracomunitari che c’hanno.

L’odio nasce spesso da una ammirazione inconfessata. Che siccome non può essere soddisfatta diventa frustrazione e poi infine odio. E poi voglia di far male. Tanto morire costa poco, con la vita di merda che si ha. I ragazzini frustrati che entrano nelle scuole americane a fare stragi per vendicarsi di bullismi e isolamento fanno la stessa cosa, solo che c’hanno nomi americani e non hanno bisogno di costruirsi le bombe, ché tanto possono prendere il fucile del papà.

Perché probabilmente questo ragazzino che viveva vicino al palazzetto dei concerti, a quei concerti con quelle ragazzine libere e bionde sarebbe voluto andarci, e invece viveva nel ghetto di extracomunitari come lui. E le ragazzine bionde le poteva solo osservare da lontano.

Bisogna quindi accelerare sull’integrazione? Evitare gli isolamenti? Sono belle parole queste, ma se il bambino biondino preferisce l’amico biondino per giocare al parchetto, o per la festa di compleanno, non si può obbligare l’amico biondino ad accettare egualmente l’amichetto Abdul.

Poi quando l’amichetto biondino crescerà, ci saranno leggi per evitare le discriminazioni, per esempio a scuola o sul posto di lavoro. Ci saranno giornalisti che insisteranno sulle storie di integrazione riuscite bene e taceranno su quelle uscite male. Ma sara’ comunque un’integrazione di forma e non di sostanza. Quanti anni ci vorranno per un’integrazione di sostanza? Boh, a guardare gli afroamericani, 500 anni non bastano.

E nel frattempo?

E nel frattempo niente. Siamo qui a farci un’opinione.

E ve lo dico, fatevi un’opinione adesso, prima che una bomba scoppi più vicino a voi. Fatevela ora, quando potete essere ancora vagamente obiettivi. Perché siamo nell’epoca del “prima o poi” e bisogna essere pronti.

Una delle cose più tristi che ho visto negli ultimi tempi è una foto su facebook questa mattina.

Ci sono tre coppie che festeggiano San Valentino. Lo si capisce dai tovaglioli a forma di cuore. E altre cose a forma di cuore sul tavolo. Sono seduti tutti e sei allo stesso tavolo. Stanno festeggiando il San Valentino insieme. Invece che non festeggiarlo – qualunque cosa voglia dire festeggiarlo – hanno deciso di festeggiarlo insieme. E sono seduti assieme allo stesso tavolo. I tre uomini da una parte del tavolo, le tre donne dall’altra parte.

Con i tovaglioli a forma di cuore.

Ad un certo punto si comincia a perdere interesse nelle persone – nelle persone in generale, non di persone nello specifico – oppure si sgonfiano slanci ed entusiasmi nell’incontro di persone nuove. E pazienza: non e’ colpa delle persone e nemmeno colpa tua. Piuttosto e’ il risultato del fatto che dopo aver incontrato tantissima gente nella tua vita, da un certo punto in poi cominci ad incontrare doppioni di persone già conosciute: doppioni di discorsi, di sorrisi, paure e aspirazioni, e modi di accavallare le gambe.  Gli altri sono speciali – e noi stessi siamo speciali, purtroppo – soltanto nella limitatezza delle nostre esperienze. L’ampiezza ha tanti fascini, ma distrugge lentamente la nostra presunzione di peculiarità a botta di esperienze di nuovi incontri.

Però in estate verrò a controllarvi tutti – sostenitori accaniti e privi di dubbi del referendum – per vedere se nelle vostre automobili che vanno a petrolio tenete l’aria condizionata accesa oppure il finestrino abbassato.

senza neanche la voglia di tradurmi

It will happen again.

Masses of frustrated poor people live in the suburb of all the big capitals. They cannot live the life they wish, the life they see others can live. They cannot afford it, or they are just rejected because of their name or exotic appearance.

The vast majority have a specific ethnic and religious background: but this is not an ethnic or religious issue, this is a social issue. They have the same nationality, but they are segregated in the poor and ugly suburbs. They wear Gucci hat. They are hostage of humble jobs. Their mothers clean the urine from the toilets where the “others”, the luckier, work and live.

So the frustration and hate grow in their mind. The religion is just an excuse to release the frustration and hate. They have nothing to lose, so it is easier to give the life away, and to believe in a paradise with tons virgins waiting for you. So it is easier to find identity in something else. Unfortunately religions (all the religions) cannot be banned from the world. Yet. Stop interviewing the “moderate muslims” in TV to remind the public there are differences and we should not generalize: you are completely missing the point.

But if the objective is the terror, if the hate is against this life style, then we know what to do. The weapon in our arms is to insist even more in enjoying beauty of what is available in a free world. Exercise the beauty of music, art, food, the beauty of freedom of going out, of using your body in the most immoral ways. Exploit all the possibilities to generate happiness for you and the others around you.

If everyone keep doing this, terror is not terror anymore.

IMG-20140607-WA0010

dieci anni

In questo lungo periodo di maggese del blog, questo blog, nella forma in cui lo conosciamo, ha compiuto dieci anni.

Come gia’ scritto odio celebrazioni e anniversari, pero’ forse odio soltanto le celebrazioni e anniversari collettivi. Dove tanta gente, tutta assieme, e’ convinta di potersi sincronizzare sui festeggiamenti di qualcosa; di poter condividere, tutte assieme e nello stesso momento  la stessa identica emozione. Questa celebrazione invece e’ mia soltanto, ci penso da quando ho deciso che la data di nascita ufficiale sarebbe stata quella  indicata dal contatore di Shynitstat (21 maggio 2005). In realta’, come la nascita di Cristo, questa e’ solo una data arbitraria, che’ il blogghe esisteva gia’ da tempo, sicuramente dal 2004. Il contatore fu installato su excite, ai tempi in cui Excite era curato da Zoro, ma ancora prima avevo una pagina su una piattaforma sconosciuta.

Ad oggi sono sicuro un paio di cose.

La prima e’ che averci avuto un posto in cui scrivere ha influenzato quella che e’ stata la mia vita fino a qui. Non ho la prova del  contrario, eppero’ sono sicuro che certe cose non le avrei fatte, certe persone non le avrei conosciute, certi posti non visitati, certe consapevolezze non le avrei acquisite. Credo che assieme alla lettura,  lo scrivere (e lo scrivere velocemente su internet, lo scrivere per catturare l’attenzione con poche righe) abbia trasformato la mia comunicazione verbale. Che e’ diventata piu’ fluida ed efficace. Come effetto collaterale, sono diventato intollerante ai linguaggi fumosi e zoppicanti. Ma sono anche passati dieci anni, e potrebbe essere anche soltanto il frutto – mioddio – della maturita’.

La seconda cosa e’ che ho tantissimo da scrivere ma mi trovo davanti un ostacolo giornaliero, che e’ appunto quello di mettersi a scrivere. C’e’ tantissima roba che andrebbe registrata, eppure la capacita’ di focalizzarsi va diminuendo. Il fatto di lavorare scrivendo davanti ad un computer non aiuta molto, del resto, se nel tempo libero poi ti rimetti a scrivere davanti ad un computer. C’e’ il problema dell’essere onesti, che e’ il fondamento di tutto. Si puo’ essere onesti ma di nuovo la maturita’ – mioddio – aggiunge molto calcare alla tua voglia di dire esattamente quello che pensi, soprattutto se scrivi di te stesso. Le pose, la tentazione di attenuare e abbellire, sono sempre dietro l’angolo. Il rifiuto delle pose e’ cio’ che oggi distingue noi ultimi mohicani dei blogghe dalla comunicazione di facebook. Cosi’ come non sfruttare il facile successo del sarcasmo violento ci differenzia da Twitter.

E insomma, sono dieci anni, si continua.

Coppie in viaggio con bagagli appesi ovunque, bambini che scappano e che toccano tutto quello che gli viene detto di non toccare, il padre e la madre che comunicano tra di loro mediante recriminazioni e lamenti ma cominciando ogni frase con Amo’. E quindi “Amo’ ma ti rendi conto che non posso…” “Amo’ che cazzo fai…”, “Amo’ stai zitto ti prego…”.

Giovane viaggiatore di treno obeso che si ciba nello spazio angusto di un treno di cibi dal’odore acre, e mastica a bocca aperta, e tu che lo guardi non ci credi sia possibile – quel modo di essere che certe volte abbiamo noi meridionali, vestiti bene, puliti ma fondamentalmente animali selvatici – con la bocca aperta, insomma, e tu che osservi pensi “adesso la chiude, adesso la chiude” e invece non la chiude, mastica rumorosamente muovendo labbra anch’esse obese. Appena finito di ingurgitare e schioccare la lingua, comincia una lunga telefonata a voce altissima ad un suo amico definito “Frat’ma” al quale spiega varie sue teorie sulla apertura di bar in posti strategici del paese. Al termine della telefonata si addormenterà (con la bocca aperta) ma prima di allora e durante tutta la telefonata lo hai fissato negli occhi per trasmetterli telepaticamente l’immagine che avevi in quel momento nella testa, quella di certi detenuti che per protesta estrema si cuciono le labbra in carcere (o sono i clandestini nei centri provvisori?), e quindi per trasmettergli l’immagine di quel filo che penetra la carne (obesa), le labbra tumefatte dall’infiammazione che presto evolvera’ in infezione. Non ha funzionato.

Padri anziani che accolgono i figli alla stazione e trasportano le loro valigie anche se il figlio molto piu’ giovane potrebbe farlo con nessuna fatica, e anzi sembrano ingegnarsi per fare apposta piu’ fatica, sollevando di peso valigie che hanno le rotelle e che potrebbero essere facilmente trascinate. Sono contenti cosi’ loro, si sentono utili, per qualche giorno.

P

i pseudodivertenti

Mi riesce difficile avere a che fare con persone che si sforzano di essere divertenti con battute (non sempre divertenti) e che mentre fanno la battuta, o subito dopo, cercano il tuo sguardo per creare artificialmente una complicità, e che lo fanno per tirarti in mezzo con la forza in quel loro modo di essere divertenti (secondo loro).

Quando lo pseudo-divertente cerca il tuo assenso con gli occhi su quello che ha appena pronunciato, hai fondamentalmente due opzioni: accennare un sorriso o restare impassibile. The bottom line e’ che quello che hai ascoltato non ti fa ridere, quindi logica vorrebbe che restassi impassibile. Ma questo e’ un gesto coraggioso, e sebbene io mi ritenga coraggioso, non sono per niente in grado di metterlo in atto. Anche perché oltre ad essere un gesto coraggioso, questo e’ anche un gesto cattivo.

Nel senso che, quando una persona sa di essere mediamente divertente, non ha bisogno di cercare consenso alla sua ironia. Puo’ dire qualcosa e scappare via, guardare altrove, parlare di altro. Se invece si cerca complicità e’ anche a causa di insicurezze, spesso inconsce. Il pseudo-divertente, se notate, non e’ uno che cerca complicità e consenso alla sua ironia ogni tanto; e’ spesso una persona che cerca sempre il consenso alla sua ironia, che lo cerca compulsivamente. Se non e’ patologia e’ comunque dipendenza che, immagino, coinvolgerà il rilascio dopaminico.

E allora se non si può essere cosi’ cattivi da restare impassibili, si resta costretti a simulare entusiasmo per battute tristi, per frasi inappropriate, eccessive, per umorismi banali e avvilenti. Ma ecco, questa costrizione la considero una violenza. Nessuno ne parla ma io la considero una violenza.

the pecking order

Decidendo di nominare cinque “garanti”, o “vice”, Grillo finalmente dimostra che non e’ per niente vero che uno vale uno. Alcuni valgono più di altri. Ed e’ giusto che sia cosi’.

Del resto e’ una legge naturale che alcune persone valgano più di altre o che naturalmente si posizionino a livelli differenti di gerarchia: per meriti, talenti, capacita’ (quando va bene) o per scaltrezza, paraculaggine, diritti acquisiti (quando va meno bene).

La naturale esistenza di gerarchie può anche non piacere, infastidire. Ma il fastidio  da solo non può bastare a cancellare una legge naturale. Il fastidio e l’insofferenza possono far accantonare per un breve periodo la legge naturale, ma poi il tempo sistema tutto. Se chiudi in uno stesso recinto venti mucche – o venti galline – inizialmente si ciberanno in modo casuale. Poi dopo qualche giorno le gerarchie si chiariranno, e si avvicineranno alla mangiatoia seguendo un ordine preciso.

quando l’altro giorno

Quando l’altro giorno hai ascoltato Francesco Piccolo raccontare della casa editrice Einaudi qui a Brussélle, ad un certo punto una signora dal pubblico ha posto una di quelle domande che non sono domande, una di quelle domande narcisistiche che in questi contesti si fanno per mostrare quanto si è acculturati, quanto si è dalla parte giusta, oppure una di quelle domande che non sono domande perché contengono già la risposta.

La signora chiedeva a Francesco Piccolo di spendere qualche parola sulla situazione attuale della sinistra italiana, divisa tra gente che parla alla Leopolda e gente che si picchia per strada con la polizia. La domanda era posta in modo tale che fosse evidente e ovvio sin dall’inizio che il bene sta da una parte (gli operai in piazza) e il male tutto dall’altra (la Leopolda) e dava per scontato che ciò fosse ovvio a tutti i presenti.

Ma Francesco Piccolo ha preso la parola dicendo che a domanda sconveniente la signora doveva attendersi una risposta altrettanto sconveniente. E ha subito premesso che quella non era una domanda, perché conteneva una risposta, e conteneva la voglia di sentirsi dire che aveva ragione lei.

Avrei potuto parlare io con parole identiche, stava parlando lui, ed io già applaudivo senza far far toccare una mano con l’altra per non far rumore.

Poi ha continuato dicendo sebbene sia molto più facile e comodo – soprattutto negli ambienti intellettuali – dirsi a favore dei manifestanti, lui non se la sentiva di tifare per chi protesta in un modo così sterile. Ha detto che la difesa dei diritti non deve nascondere la mancanza di idee. E che un determinato modo di essere in disaccordo è tipico di chi non ha idee alternative da proporre ma solo idee da combattere. E che se dall’altra parte c’è chi mette delle idee in campo, per quanto strambe e imperfette possano essere, sono idee che vengono messe in campo e attuate per quanto possibile. E che (aggiungo io) non si può paragonare una proposta con una non-proposta. Quindi ha fatto accenni al concetto di purezza di cui parla da tempo, e di cui è ancora l’unico a parlarne.

Pelle d’oca sulla nuca per quanto condivisibili le parole, e per quanto ascoltarle fa sentire meno soli.

Arrivato alla mia veneranda eta’ mi capita – ed e’ la prima volta – di fare un viaggio di due giorni nella mia regione per motivi di lavoro.

E di parlare di lavoro mentre fuori dalla finestra, proprio alle spalle del mio interlocutore ci sono pini marittimi che conosco bene, si avverte l’odore della resina in quel modo che conosco bene, le erbacce appena più lontano crescono ai cigli della strada in un modo che conosco bene, Aprile vuol dire già estate e asfalto e marciapiedi che odorano di cemento caldo in un modo che conosco bene.

 

Un bambino che abita a pochi metri da casa mia ha i genitori che viaggiano spesso per lavoro. Non l’ho mai incontrato e non so chi siano i genitori. So solo dove abita, perché sulla porta di casa fa appendere i suoi messaggi per dare il benvenuto a chi torna.

Photo0451