cose, 27 sei duemilaeundici

Sabato ho passato la mano sulla capoccia di un numero imprecisato di Buddha. Di legno, di plastica, di pietra. Esiste un mercato dei Buddha che non ti aspetti. Poi ho – per davvero – salvato una vita.

 

Mi sono fatto lanciare un pacco di caffè dal quarto piano.

 

Ma quanto sono belli i dettagli? In questi giorni vado pazzo per i dettagli (attenzione, sono le Piccole Cose, quindi tutto torna). Cosa ho pensato e provato oggi? Mi sono emozionato? Sì. Sarebbe importante parlarne? No. Parliamo dei dettagli piuttosto.

 

Ho fatto una riunione di sette ore dove non serviva che prendessi la parola, allora mi sono concentrato sul colletto della camicia di un tizio. Mi sono immaginato la sua vita partendo da quel dettaglio. Se c'era gente che lo attendeva a casa e tollerava un colletto del genere.

 

Ho immaginato le famiglie di ciascuno dei presenti, della loro lontananza forzata per essere lì. Delle telefonate che avrebbero fatto a fine serata dall'albergo. Delle telefonate che non avrebbero fatto. Ho comprato chili di biscotti. Diversi chili. Ho comprato le spugnette di quelle che si usano per pulire le superfici e vai a capire perché in tutto il mondo le vendono in pacchi multicolore. Una gialla una verde una rosa una arancione. Ho voglia di avere a che fare con gente che si accorge di queste cose.

 

Sono tornato a casa ascoltando la radio che recitava un articolo di Paolo Villaggio. Ho cenato con paella e sauvignon e guardando – perché mai fatto fino ad ora? – la “Messa è finita” di Moretti che mi è andato benissimo. Mi piace quando dice “un giorno di questi vorrei regalare a nostra madre un ombrellino da sole” e sua sorella risponde “Sì, ma non si usano più” e poi lui – Nanni – spacca un vetro con un pugno e si ciuccia il sangue dal pugno. 

 

Ma prima ancora tornavo a casa e a Brussèlle c'erano davvero 35 gradi, e bambini multicolori – mannaggia non si vede bene – si lanciavano nella fontana assieme ai cani.

 

in questi giorni

Mi sono tagliato un dito. Ho celebrato lo sbarco sulla luna in casa privata di (per me) sconosciuti. Ho ucciso due ragni su richiesta della Meisje. Ne ho mancato uno che si stava intrufolando nel letto e me lo ha fatto pesare: lei poi si è addormentata sul divano per la paura dei ragni. Ho abusato di cereali al cioccolato con il latte. Ho pedalato controvento in salita lamentandomi per scherzo. Ho spiegato dove si fa il prelievo di sangue ai felini. Sono andato al concerto di Regina Spektor: lei – Regina – si è incavolata per i troppi flash in faccia. Ho mangiato messicano in centro ad Amsterdam. Ho visto gente leggere libri sulle panchine della stazione dei treni, di notte. Ho fatto due conti e praticamente fra poco è Salento.   

e ogni volta

E ogni volta che guardiamo un film con la Meisje che includa fra i protagonisti anche Nicolas Cage, rivanghiamo con la Meisje il primo capitolo di Allegro Occidentale di Francesco Piccolo, dove lui Francesco Piccolo parla di quella volta che in Giappone (in Giappone?) lo hanno scambiato per Nicolas Cage, e lui non è contento di questo perché Nicolas Cage rappresenterebbe il prototipo dell’italiano medio. E ogni volta con Nicolas Cage sulo schermo si dice che ha proprio la faccia dell’uomo medio, anche se poi a pensarci bene non è vero, ché ha solo la faccia dell’uomo medio come ideale cinematografico, ché io uno con la faccia così non l’ho mai conosciuto – e nemmeno che ci assomigli, nemmeno lo stesso Francesco Piccolo, ché non l’ ho conosciuto, l’ho visto solo in foto – e dove volevo arrivare non me lo ricordo più, non era niente di importante, comunque, se uno dovesse aspettare di avere qualcosa di importante per scrivere, non scriverebbe mai. Il film era Al di là della vita, comunque. Titolo originale, molto più presentabile, Bringing out the dead.