Sei rimasto per nove giorni col culo nell’acqua di mare, a mangiare e dormire e risolvere problemi del tipo dove si va a mangiare stasera, quali infradito indosserò, quante ore posso restare buttato sul letto di pomeriggio a guardare il soffitto senza sentirmi in colpa. Ho corso sulla costa, ho osservato nonni rotondi che sedevano su una panchina ad osservare le onde al tramonto, ho spiato per mezzora un pescatore di polpi mentre lanciava la sua lenza nel mare con un gesto tanto fluido che lo si capiva benissimo, erano anni che faceva la stessa cosa.
E se pure lo so che quella non e’ la vita reale, che non esiste una vita che continua cosi’ all’infinito – e se pure esistesse ti annoierebbe dopo un po’ – lo stesso poi quando torni, sei triste. In realtà sei triste appena prima di partire, di fatto e’ una tristezza preventiva, si innesca ancora prima ancora di andare via, dando per scontato che sarai triste.
Poi invece No.
Poi invece torni a Brusselle, e c’e’ un poco di sole, parli con una dottoressa gentile e premurosa, c’e’ una cassiera che si scusa di non averti visto e in francese ti spiega che era distratta, c’e’ il Parc Leopold con le foglie illuminate, una ragazza che cammina sul marciapiede a fianco con l’aria di non sapere dove andare, ci sei tu che vorresti fermare l’auto e chiederle spiegazioni.
Il bello del paesello, alla fine, è questo. Sapere che ha un inizio e una fine.
http://it.m.wikipedia.org/wiki/Profezia_che_si_autoadempie
che bello leggere di persone felici! 🙂
e li’ no invece?
mi manca quel poco di sole e camminare per strade sconosciute e non sapere dove andare, per stare a posto. oltre che saperlo scrivere così!