portare me stesso

Portare me stesso al concerto di Roy Paci in un parco di Amsterdam una domenica pomeriggio che profuma di barbecue e di vento e di sedile di treno, e vedere un Roy Paci saltellante con gli occhi allegri da italiano in gita e la corporatura panciottosa proprio come ci si aspetta debba essere un italiano – addirittura urla dal microfono un “are you TirEd?” dando notevole importanza a tutte le vocali, tutte – ecco, tutto questo nel 2009 da emigrante all’ estero é come se negli anni 60, ma pure 70, fossi andato coi baffoni e i basettoni ad un concerto di Mino Reitano in una birreria di Francoforte. Scoprire che nel gruppo ci suona il tuo amico del paesello che dodici anni fa ci suonavi assieme, e vedere che lui ancora suona e gira il mondo cosi’, non ha prezzo. Non é vero: ha un prezzo. Il prezzo da pagare é quello per cui ti chiedi cosa significherebbe per te fare solo quello ti piace fare, e il misurare il coraggio che ti manca, eccetera eccetera, eccetera eccetera che tanto é inutile soffermarsi su sta cosa é la solita domanda che arriva, poi se ne va, ma poi torna.

update: Toh! contributo video.

6 pensieri su “portare me stesso

  1. prova a pensare che anche una briciola di quello che hai suonato tu con lui a quel tempo, come tutte le briciole di ognuno dei topolini suonatori (topipittori, cit.), ha contribuito a far diventare lui quello che è oggi.
    neanche questo ha prezzo.

  2. e io per tutto il concerto non ho potuto fare a meno di osservare, a distanza di un paio di italiani, un Rafeli avvolto in un sudario di pensieri.

    considerazioni:

    1) bravo, tanta energia, un concerto che dici “questo spacca, ma su disco non rende”
    2) tanti stereotipi, ma tanto eravamo tutti italiani
    3) mille dediche ai siciliani nel pubblico. io ho contato almeno 2 pugliesi, 1 romano, 2 veneti, 1 ligure e 1 trentino.
    4) punto saliente: il bambino nero sulle spalle della madre che sventola la bandiera della sicilia

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