In foto: il mio angolo di lavoro preferito in questi mesi. Mai avrei pensato di trovarmi nella mitteleuropa a lavorare con metà faccia illuminata dal sole. Le brevi pause a respirare aria fredda sul balcone, ad aprire la gabbia delle galline e osservarle mentre grattano il prato. La routine monotona e rassicurante consuma le giornate in fretta. E le settimane in fretta. E si perde cognizione del tempo. Da quanti mesi non faccio quella cosa, non vedo quella persona. Non lo so.
Noi che in questa guerra siamo caduti dalla parte fortunata, che abbiamo un posto sicuro dove stare, viviamo in case dove non ci si odia, abbiamo un lavoro solido che diventa addirittura più piacevole durante la pandemia, ci ritroviamo addosso tristezze che il pudore non ci fa raccontare. Perché come ti dicevano da bambino devi pensare a chi sta peggio di te. E tu stai bene, anzi benissimo.
Ma poco prima che tutto questo travolgesse la tua vita avevi già concluso che non riuscivi a sopportare un’esistenza nella quale devi farti bastare il mondo del proprio lavoro o della propria famiglia. Le interazioni col mondo influenzate e incanalate dai colleghi che poi a volte vengono catalogati per inerzia come amici, anche se l’unica cosa che avete in comune è l’aria che respirate. Dalla famiglia e dalle sue incombenze quasi sempre materiali: sposta quello, ricordati di questo, rimettiamo a posto, fai questo che intanto io vado al supermercato. Gli incontri con altre famiglie che hanno generato prole di pari età, con i quali – nonostante le migliori intenzioni – i discorsi finiscono sempre a parlare di loro, della prole. Quella dedizione profonda al tuo bozzolo familiare che se ce l’hai allora ti abbandoni al vortice e te ne senti riempito; se invece non ce l’hai, ti assale un senso insopportabile di incompiutezza. Senti le giornate consumarsi tappando un buco dietro l’altro e non sei d’accordo, ti chiedi se davvero non ci possa essere dell’altro, sei frustrato ma non puoi spiegarlo a nessuno, perché provi tutto questo e allo stesso tempo non metti in dubbio l’amore che ti tiene unito a loro. Perché insoddisfazione e amore possono benissimo coesistere, anche se i film questa cosa non la raccontano mai.
E se già lo pensavi prima della guerra, oggi hai paura che la guerra possa peggiorare tutto. Renderci ancora più autosufficienti nei nostri rispettivi bozzoli da spazzare via qualsiasi voglia di cercare stimoli al di fuori. Gli investitori comprano in Borsa i titoli di questo nuovo stile di vita, consapevoli che saremo sempre più dipendenti dai nostri metadoni di netflix e whatzupp. Droghette capaci di darci che sia successo qualcosa di umano in giornate durante le quali non è successo proprio niente. I nuovi surrogati di interazione sociale ti permettono di mettere in pausa, di ignorare il messaggio, ti offrono cioè il controllo totale degli input: e allora non sai se – con le nostre soglie di tolleranza drasticamente ridotte – potremo tornare ad annoiarci davanti ad una birra ascoltando discorsi del cazzo senza possibilità di mettere in pausa.
Hai paura che No, ma vorresti che Sì.

Sei tornato. Sono tornata, non so perché, dopo tutti questi anni, a leggerti. Ne avevo bisogno. Fuori dal tempo e dagli spazi, certi rifugi non cambiano mai. Grazie!