La permanenza prolungata in questo luogo desolato, umido e assolato, in questo luogo che è tutto sommato è la mia casa, finisce ogni volta per appiattire ogni mio pensiero. Per anestetizzare le considerazioni. Per annullare le mie intenzioni. Dopo venti giorni non sono più la persona di prima, mi sono ormai trasformato in una cosa più semplice, in una stecca di carne rivestita di maglietta e boxer da mare che segue soltanto lo schema mangiare bere dormire mangiare parlare poco dormire bere dormire parlare bere rum e cola dormire. Gli individui che incontro in giro utilizzano sintassi arbitrarie e consonanti sbiascicate credendo di parlare in italiano – e certe volte ci casco pure io – gli individui qui attorno continuano a vendere angurie ad ogni angolo di strada a prezzi irrisori che uno si chiede se lo facciano per guadagnarci davvero qualcosa o solo per filantropia; una ragazzina che faceva il bagno vicino a me ieri mattina spiegava all’amica che il suo ragazzo di sette anni più grande di lei aveva appena acquistato una macchinona mercedes, una macchina da favola, questa ragazzina che aveva una strana peluria circolare su di una natica, ma solo su di una natica e non sull’altra; ci sono certe stradine strette in certi zone ex-abusive della città che ricordano le favelas brasiliane, e c’è questa consapevolezza delle persone che vivono lì che la strada asfaltata gli appartenga come una proprietà privata, per cui lasciano per strada sedie e quelle cose di metallo che si usano per asciugare la biancheria però li assicurano con catena e lucchetto al palo della segnaletica stradale, con le mutande bagnate ancora appese; queste strade che le nonne sono posate sulla sedia a guardare il muro di fronte mentre la nipote racconta cos’è la frequenza obbligatoria all’università, mentre il fratellino più piccolo vestito solo di un pannolone enorme dalla probabile capacità di venti litri di piscio continua a prendere a testate il muso del cane di casa che non protesta per niente.
che bello, almeno ogni tanto, ritornare allo stadio primitivo della nostra esistenza, con attivati solo i segnali dei bisogni essenziali ( fame, sete, sonno etc…), e chissenegrega della dizione, della grammatica, della buona creanza; ma si, stendiamo il bucato in strada, lasciamo i bambini con il pannolone e basta, vestiamoci con magliettine da niente soldi, chissà che, per qualche giorno, si riesca ad apprezzare di più anche una fetta d’anguria.
Magdalia
è normale. pur’io quando rientro a bo, dopo poche ore ed improvvisamente mi sento un tortello ripieno alla scialscizza.
ma diceva tipo “sai amica, il mio moroso che ha 7 anni in più di me ha comprato…”???
è strano vero?sai che le tue radici sono lì,ma tutto pare tranne che ti appartengano…
è che mancano gli stimoli a cui sei abituato oppure, semplicemente ,la tua VITA è ormai altrove.
sono nelle stesse condizioni.stessa latitudine,stessi ritmi. quasi non ne posso più.
ma mi restano solo altri tre giorni di salento.
oh mi hai fatto fare un po’ di vacanze al caldo per due minuti pure a me che annaspo in un tempo autunnale da lumache.
è bello sentire proprie le strade secondo me.
Ho iniziato a leggere il tuo blog solo per scrivere commenti aggressivi alle tue uscite versus fabrizio moro.
Però devo ammettere che più ti leggo e più mi convinco che quello che scrivi è davvero interessante. Sei bravo anche nel “come” scrivi. Hai stile.
Mai pensato di buttare giù qualcosa e di mandare questo non meglio precisato qualcosa a qualche casa editrice? Hai visto mai…
Ciao e forza moro.
Fra.