Ci sono un sacco di cose che faccio e di cui non prendo nota. Allora a cosa serve un diario, porcalamiseria, visto che “diario” è dopotutto nel sottotitolo di questo blogghe. La verità è che stiamo di nuovo attraversando una di quelle fasi in cui le cose di cui dovresti scrivere, non le scrivi.
Hai discusso di problemi di parcheggio con il commerciante arabo (cit) che abita sotto casa, in francese. Lo stesso al quale, un anno fa, dovesti spiegare a gesti che ti servivano assorbenti per donna. La sua religione evidentemente non gli impedisce di continuare a parlare con te.
Hai cenato con due orate trovate per strada. Anzi in mezzo alla strada, e trovate da lui.
Nei fumi della birra scura, hai esplorato un giovane padiglione auricolare scandinavo – ma poi l’hai lasciato lì senza spiegazioni, e mentre guidavi verso casa pensavi che era meglio così, perché non c’è niente che ho bisogno (cit).
Hai letto dieci pagine scritte nelle quali si parlava benissimo di me.
Hai avuto una settimana di quasi influenza.
Hai smesso di vestire pantaloni più grandi di due taglie nel 2012, ricordatelo, e questo vuol dire che hai fatto venti anni tondi tondi, a quel modo.
Dovevi vendere una bicicletta che non usi mai, residuo della vita in Paese Basso, ma poi ti sei chiesto perché avresti dovuto, non certo per i cento euro promessi. Allora per cosa?
Ti stai imborghesendo, hai pensato.
Ah, e ti hanno portato a vedere i Calexico.
Che meraviglia i Calexico. Il 13 novembre sono a Bologna se solo trovassi qualcono che mi ci accompagni.